“Dobbiamo iniziare a guardare all’Africa con occhiali africani”. Il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, ha utilizzato questa espressione mercoledì 22 novembre nell’emiciclo di Bruxelles introducendo la Conferenza per un nuovo parternariato con l’Africa organizzata ad una settimana esatta dall’Eu-Africa Summit di Abidjan. Al suo fianco, oltre all’Alto commissario per la politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini,  c’erano, tra gli altri, il presidente del Centrafrica Touadéra, il ministro degli esteri del Mali, Abdoulaye Diop, e il presidente del Parlamento Panafricano Roger Nkodo Dang. Grande assente il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, che ha incontrato Mogherini in mattinata per poi lasciare Bruxelles.

Di fronte a loro una vasta rappresentanza di parlamentari europei e africani, giornalisti, membri della diaspora e del mondo delle associazioni a cui Tajani ha ribadito la volontà di fare dell’incontro del 29 e 30 novembre in Costa d’Avorio un “nuovo inizio”.

Ma cosa vuol dire guardare all’Africa con occhiali africani? 

Questa domanda mi risuonava nelle orecchie mentre lasciavo la sede del Parlamento europeo dopo un pomeriggio passato ad ascoltare panel che hanno provato a mettere al centro le mille sfaccettature (perché non ci sono solo le migrazioni) delle relazioni tra i due continenti: democrazia e diritti, migrazioni e giovani, sviluppo e investimenti, energia e ambiente Significa capire che l’Africa chiede industrializzazione e non aiuti (su questo sembra che ci sia qualche passo avanti), ma sopratutto che è stanca delle parole e vuole fatti concreti. La parità e il “rapporto tra fratelli”  proposto dalla Mogherini non possono restare slogan.

Parole che rischiano di cadere nel vuoto come ha dimostrato la conferenza stampa organizzata a metà giornata: dietro la scrivania c’era un solo leader africano, il presidente Faustin-Archange Touadéra, in mezzo a tre europei con Federica Mogherini ad attirare tutta l’attenzione e le domande. Sicuri che non c’erano anche altri leader africani a disposizione, magari qualcuno non venuto a Bruxelles in cerca di aiuti per risollevare un Paese in ginocchio per la guerra civile?

E’ stato lo stesso professor Mukwege, premio Sakharov 2014, a confidare come in molti Paesi dell’Africa, come la sua Repubblica Democratica del Congo, vi sia un grande problema di leadership, ma le voce autorevoli ci sono basterebbe mettersi realmente in ascolto.Un impegno che vale per i politici europei, ma anche per tutti noi.